Negli anni successivi all’istituzione della Società delle Nazioni (1919), storici come Arthur E.R. Boak si interrogavano sull’esistenza di possibili antecedenti nell’antichità. La Società delle Nazioni veniva considerata “a voluntary association of self-governing states for the purpose of promoting international peace and security” (“Greek Interstate Associations and the League of Nations”. American Journal of International Law 15, 375-83: 382, corsivo nostro). Boak prendeva in esame tanto gli stati federali antichi, quanto forme sovrastatali di tipo federale in senso più ampio (simmachie egemoniche, leghe elleniche, anfizionie). Simili formazioni federali potevano rappresentare un precedente per la Società delle Nazioni? Al termine dell’indagine, il responso di Boak fu negativo: “the amphictyonies and other religious leagues had an entirely different basis and object.  The federal states differed both in object and in organization”. Boak guardava dagli antichi Greci mosso da un dilemma che doveva essere diffuso a quel tempo: quali possibilità di successo aveva la Società delle Nazioni nello sforzo di promuovere la pace? Cosa poteva insegnarci la storia? E gli antichi Greci? In relazione al carattere ambivalente della storia greca – caratterizzata da strategie di risoluzione pacifica dei conflitti, ma anche da guerre secolari – per Boak la risposta era inevitabilmente negativa. La Società delle Nazioni non aveva precedenti e proprio per questa ragione un certo ottimismo era legittimo.

In un contesto differente ma altrettanto vibrante, Jakob A.O. Larsen (“Federation for Peace in Ancient Greece”. Classical Philology 39, 145-62) prendeva le mosse dal medesimo interrogativo ed esaminava più o meno gli stessi esempi tratti dall’antichità greca (stati federali, ma anche forme sovrastatali di tipo federale in senso più ampio). Larsen scriveva nel 1944, mentre il mondo era devastato dalla guerra ed era in cerca di una via d’uscita. Gli organismi federali erano in grado di favorire la pace? Come Boak, anche Larsen guardava agli antichi Greci con speranza, ma, diversamente da Boak, nutriva un certo ottimismo anche in riferimento agli antichi.

Il dilemma “federation for peace” ha dominato gli studi sul federalismo in generale (non solo sul federalismo antico) e ha attraversato l’Europa durante il secondo dopoguerra, durante la Guerra Fredda e nelle fasi iniziali dell’Unione Europea. Più che uno slogan, “federation for peace” alimentava una speranza alla quale si sono aggrappati in molti di fronte a nazioni in disarmo, al dramma dei conflitti etnici, alla sfida dei conflitti religiosi. Doveva pur esistere qualcosa in grado di mantenere la pace fra le nazioni. Quel qualcosa sembrava essere il federalismo.

Anche il dibattito sul federalismo greco antico è stato a lungo animato da questo interrogativo. Sono state formulate risposte articolate e sfumate, ma nessuna si è rivelata veramente definitiva. Le fonti non ammettono conclusioni nette, ma non è questo il punto. Il punto è che stiamo ancora cercando una risposta allo stesso interrogativo, l’interrogativo di Boak: il federalismo favorisce la pace?

FeBo non si propone di dar risposta a questo quesito, perché muove dall’idea che il quesito stesso è malposto e che è necessario andare oltre. Lasciando da parte impostazioni romantiche e utopiche, i soli processi di federalizzazione in sé non garantiscono la coesistenza pacifica, né lungo i confini interni degli stati membri, né lungo i confini esterni; né nella Grecia antica, né nel mondo contemporaneo. In relazione alla Grecia antica (e forse non soltanto in relazione ad essa), la domanda che occorre porsi è diversa e investe i confini: in che modo gli stati federali greci affrontavano il problema delle frontiere interne (intrafederali) ed esterne?

L’ipotesi di lavoro di FeBo è che negli stati federali greci:

  • le politiche di gestione dei confini non miravano di per sé ad una coesistenza pacifica, ma puntavano piuttosto a equilibri di potere e alla stabilità;
  • per essere efficaci, simili strategie dovevano tenere in considerazione networks economici, etnici, culturali e religiosi, risolvendosi – in ultima analisi – in politiche di gestione dei confini a più livelli.

La politica in senso stretto non era tutto. Era necessario molto di più.


FeBo è uno dei 313 progetti ERC Consolidator finanziati nel 2021 nell’ambito del programma Horizon Europe e uno dei 17 progetti ERC Consolidator finanziati nel 2021 per il Panel SH6 (The Study of the Human Past. Archaeology and History); considerati anche gli altri panels è, sempre per il 2021, uno dei 30 progetti italiani finanziati nonché uno dei 2 progetti vincitori presentati da studiosi e studiose che hanno scelto come host institution l’Università di Trento. Dal momento dell’istituzione dell’European Research Council, FeBo è il settimo progetto di Storia greca ad aver ricevuto finanziamenti.


L’host institution di FeBo è l’Università di Trento, presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia. Principal Investigator è Elena Franchi. Collaboratori del progetto sono Claudio Biagetti, Rebecca Massinelli, Sebastian Scharff e Roy Van Wijk. Il progetto si avvale, inoltre, delle risorse messe a disposizione dal LabSA.

Ulteriori informazioni su FeBo, sui suoi risultati, sul suo impatto e sulle attività di disseminazione si trovano qui.

Logo con bandiera Unione Europea e Logo ERC